Nota: questo testo è stato scritto in giugno 2018, dopo i due sgomberi parziali della ZAD, dopo mesi di tensioni (incluso aggressione fisiche) tra le diversi gruppi che abitano la ZAD e dopo la firma di Accordi di Occupazione Precarie tra la Stato e una parte dei luoghi occupati
La fine della ZAD, l’inizio di che cosa?
Di quello che era la ZAD, qualcosa è finito, o almeno si trasforma. Abbiamo bisogno di fare il punto su dove siamo e dove andremo. “Noi”, siamo alcune persone dello stesso gruppo che si sono riunite per scrivere questo testo.Alcun*abitant* della ZAD hanno firmato degli Accordi di Occupazione Precarie (“COP”) con lo Stato. Per noi, è la fine di qualcosa. Siamo stat* numeros* a partecipare a questa scommessa. Alcun*l’hanno fatto sentendosi un po’ bloccat* o obbligat* dalla pressione della polizia ma anche da quella dei compagni e compagne. Le persone che scrivono questo testo non sono del tutto convinte che fosse una buona o una cattiva idea. Abbiamo provato a fare qualcosa in quella situazione e non ci è sembrata la peggiore delle opzioni, anche se non ci fa sognare. Se nessuno avesse firmato niente, forse tutto sarebbe stato distrutto. Ma forse avremmo perduto meno sostenitor*, meno dignità, ci si odierebbe meno tra di noi e non avremmo perduto molte case. Non lo sapremo mai. Ci sembra più interessante iniziare da dove siamo adesso e pensare alle conseguenze.In tutti questi anni di lotta insieme abbiamo già acquisito molte cose, che non prederemmo se tutto si fermasse qui. Alcun* abitanti iniziano a andare via perché non è più il luogo in cui volevano vivere, altr* pensano di restare. Condividiamo molte analisi sulla situazione della ZAD ma facciamo delle scelte pratiche diverse in una situazione complicatissima e per il momento abbastanza spiacevole.
Che cosa era la Zad
Alcuni anni fa ci eravamo chiesti “che cos’è la ZAD”?1 La ZAD, nella forma in cui esisteva da una decina d’anni veniva dell’azione diretta: il fatto stesso di abitarci era illegale. Una varietà di tattiche era usata per resistere al progetto e a quello che rappresentava: dai sabotaggi di escavatori alla semina collettiva sulle terre nella “zona dei lavori” passando per la resistenza degl* abitant* agli espropri di case e fattorie e le controperizie. Era anche un posto in cui si provava a costruire un’altra realtà, in cuieravamo meno dipendent* dallo Stato e dal capitalismo. Imparavamo ad essere più autonomi per le cose pratiche come la costruzione, la cura o il cibo, come per i modi di organizzarci insieme senza seguire i regolamenti ufficiali.
La ZAD era anche una comunità più o meno aperta: con esperienze comuni, con un’assistenza reciproca e dei conflitti tra quell* che ci vivevano, ma dove ciascun* poteva anche venire a passare alcuni giorni, alcune settimane, o venire a viverci.
Anche se non era facile per tutt* trovare il proprio posto era un luogo di incontro tra gente uscita da mondi diversi, dai militant* ai punkabbestia, dagli occupant* ai contadin*.
Tutto questo si faceva grazie ad alcune idee che ci sembravano abbastanza condividse: lottare contro la pianificazione e la gestione del territorio; provare ad allontanarsi delle logiche di domino. E queste idee si sono diffuse, soprattutto dopo l’operazione César avendo risonanza un po’ dappertutto, con il sostegno a quello che succedeva qua ma anche con la creazione di altre ZAD e, in termini piú ampi, la diffusione di una forma di resistenza. All’epoca, ci chiedevamo: come evitare la depoliticizzazione e l‘assorbimento del nostro movimento da parte dello Stato?
Quello che è finito
Ci sembra che una grande parte delle cose che rendevano la ZAD di cui parlavamo in questo momento sono finite: non solo non c’è più un progetto che unisce molteplici opposizioni ma non è più un’enorme squat.
Per la più maggior parte di noi, la lotta contro l’aeroporto non era la meta finale, ma faceva parte di una lotta più globale contro il “mondo che lo accompagna”. Tuttavia, abbiamo tutt* delle opinioni diverse su ciò che significa esattamente. Fino a quando c’era il progetto dell’ aeroporto, era evidenteper molta gente che valeva la pena essere qui e occupare il terreno.Decine di migliaia di persone erano d’accordo per riunirsi contro il proietto di aeroporto ma non lo sono necessariamente per proteggere la ZAD.
Anche tra abitant* ci chiedevamo se vale proprio la pena per la lotta globale di restare qui a occupare un pezzo di terreno in campagna, e se si può continuare a fare esistere qui qualcosa che non si trova altrove.
Dopo l’abbandono del progetto ci sono più dibattiti su dove e come costruire perché non immaginiamo più che tutti i boschi, i terreni incolti e i campi siano minacciati. Per esempio, ha meno senso per la difesa costruire capannesugli alberi se le foreste non rischiano più di essere distrutte. C’è anche gente che vorrebbe ricostruire solamente dove c’erano vecchie borgate. Fisicamente e psicologicamente cambia il modo in cui si vede e si vive la ZAD. Non è più un‘ occupazione gigante dove siamo tutt* pirat* e decidiamo le regole del gioco noi stessi.
Dopo l’abbandono del progetto abbiamo deciso più o meno collettivamente di iniziare un processo di negoziazione con lo Stato sul futuro delle terre. Adesso abbiamo firmato delle COP, c’è una forma di legalizzazione che si inizia, anche se precaria.
Che ci piaccia o no, cambia qualcosa di fondamentale in quello che è la ZAD. L’apertura della ZAD potrebbe essere in pericolo. Anche con le migliori intenzioni tra di noi (e non è sempre facile crederci adesso), aver assunto impegni verso lo Stato fa sì che non sia più cosi scontato lasciare che nuove persone vengano, costruiscano dove vogliono e facciano i lori progetti pirati.
Cercare d’avere una certa sicurezza porta altre conseguenze. Se vogliamo fare qualcosa che dia ancore vita a questo posto bisogna ammetterlo e poi trovare modi di conservare gli spazi per i pirati. È possibile che ci sentiamo limitati in termini di rischio assumibile nelle strategie di lotta illegale contro il “mondo che lo accompagna”. Capiamo molto bene perché ci siano persone dissuase dal sostenerci politicamente e materialmente da quando abbiamo scelto di seguire il camino che il governo ci ha “suggerito”, e anche perché alcune persone tra di noi non vogliano più vivere qui.
Quello che non possono riprenderci
Guardiamo a ciò che è stato costruito negli anni di lotta. Molti sono gli strumenti che abbiamo cercato di far vivere: il ciclo dei dodici, la squadra medica, la facilitazione, sono tutte esperienze per le lotte di oggi, qui e altrove.
Molti legami sono stati creati qui, persone improbabili si sono incontrate, dagli ecologist* radical* ai contadin* in lotta, daii cittadin* impegnat* agli squatter* anarchici. Questi legami sono certamente danneggiati dalle tensioni che abbiamo vissuto negli ultimi mesi, ma ci hanno influenzato in modo duraturo. Conserviamo le lezioni di una volontà comune nel lavorare e produrre insieme, sempre per ridistribuire equamente. Si tratta del non-mercato a prezzo libero, ma anche di alimentare la solidarietà instaurata con gli scioperanti o di estendere il nostro sostegno ai manifestant* ferit* o imprigionat*. Nei nostri tentativi di autogestione condivisa, abbiamo scoperto e poi portato alla luce altre lotte parallele, come il razzismo o il sessismo. Persone che sono venute a combattere contro l’aeroporto hanno iniziato condividendo le faccende domestiche e si sonp ritrovate, ad esempio, in riflessioni sul validismo.
Abbiamo anche imparato e condiviso molte abilità che non avremmo mai immaginato, come la facilitazione di discussioni, la coltivazione con trattori o la saldatura, ma anche la preparazione di pasti collettivi vegani, la battucada, i pronti soccorsi, ecc. E tutto questo, nessun* ce lo porterà via, nemmeno la repressione statale.
Abbiamo cercato, a volte con successo, di vivere senza Stato, senza polizia, senza carceri o ospedali psichiatrici. Abbiamo fatto l’esperienza delle trappole che si incontrano su questo percorso con molti momenti di dubbio o fallimento, ma anche con molte volte in cui abbiamo fatto meglio che altrove. Per esempio, con il ciclo dei dodici – un gruppo di mediazione dei conflitti personali basato sull’azione volontaria e il sorteggio, il laboratorio di coascolto basato sul concetto di benevolenza, gruppi di discussione che si occupano delle nostre dipendenze, luoghi di disintossicazione, ecc.
Questa lotta non solo ha ottenuto l’abbandono del progetto dell’aeroporto. Ci ha anche permesso di acquisire connessioni, esperienze di vita, competenze e di vivere momenti forti e belli nel corso degli anni. Ci dà fiducianell’ideache insieme possiamo riuscire a piegare lo Stato nonostante la forza della sua repressione.
È necessario continuare l’opera di memoria, lasciare tracce affinché queste esperienze alimentino una cultura di lotta che possa essere utilizzata altrove.
Speranze per il futuro
Pensiamo che sulla ZAD si stia voltando pagina. Ci sembra che ciò che sarà fatto qui sarà molto diverso da ciò che è stato fatto in precedenza. In questo senso, una ZAD è morta. Ma è anche il momento di riorganizzarsi per il futuro. Alcun* di noi non riescono più a riconoscerci o sentono che è ora di coinvolgersi altrove o di (ri-)diventare nomadi. Per altri, una nuova lotta inizia qui, con molte cose da costruire e fare – tra continuità e nuove idee. Speriamo che, mantenendo i legami, queste due scelte possano rafforzarsi a vicenda. Ma cosa ci motiva per il futuro?
La ZAD può già essere un luogo in cui vivere e avere accesso alla terra collettivamente, mentre altrove è molto difficile. Speriamo che le persone che ci passeranno e ci abiteranno continuino a cercare di costruire un’altra realtà. Vogliamo continuare ad avere un’agricoltura collettiva non di mercato che alimenta la resistenza qui e altrove – mense militanti, luoghi di lotta in città.
Le nostre ambizioni non devono limitarsi a fare qualcosa di bello e diverso nella nostra zona: se non c’è più qualcosa di visibile e aperto al mondo esterno che succede qui, la ZAD sarà molto meno interessante per noi e per i nostr* amic*! Le autorità sarebbero molto felici se presentassimo la faccia liscia dei neorural* biologic*, inventiv* ma non troppo. Spetta a noi lottare affinché ciò non accada e che l’area rimanga aperta e diversificata. Come fare? Ad esempio, sostenendo le lotte per il diritto all’alloggio, la difesa dell’alloggio leggero, mobile e autocostruito, in città e in campagna; mantenendo le aree di accoglienza sulla ZAD e squadre di volontari dedicati; rimanendo apert* a iniziative non agricole o non di mercato; non cercando di rendere invisibile la diversità dei punti di vista; e continuando a inventare molteplici strategie per contrastare la volontà di controllo delle “autorità”. Le dinamichedi cura non devono essere spente, ma rafforzate. Non si tratta solo della squadra medica e della formazione di primo soccorso nei cortei, ma anche della cura tramite le piante, con i giardini medicinali e la capanna di trasformazione e i gruppi che vengono formati in fitoterapia2, così come le dinamiche relative all’invecchiamento insieme come il progetto “Vivere a tutte le età sulla ZAD “3 Se la ZAD recuperasse un po’ di stabilità, alcune persone vorrebbero poter fondare un collettivo di vita attorno ad un progetto che cercherebbe di fornire un sostegno reale alle persone in difficoltà psicologica o che desiderano lottare contro le loro dipendenze4.
Un altro vantaggio della ZAD è che può offrire spazio per ospitare riunioni, laboratori e corsi di formazione autogestiti e non di mercato, cosa che sarebbe più difficile da realizzare se si dovesse pagare per occupare uno spazio. La ZAD deve cosi continuare a combattere apertamente e attivamente il capitalismo e il dominio. Può continuare a condividere e sostenere idee e lotte. Può rimanere un luogo dove le lotte convergono, fornendo assistenza logistica o organizzativa. L’azione diretta, che non si concentra più sulla difesa del luogo e sulla lotta contro l’aeroporto, può portarsi ad altre lotte. Di fronte ai blocchi dello stato repressivo, non siamo riusciti a fare quello che volevamo su molti punti, ma desideriamo ardentemente che le lotte per prendere il controllo della nostra vita si diffondano ovunque e che i legami che sono stati forgiati qui aiutino.
Alcun* occupant* della ZAD di Notre-Dame-des-Landes che fanno parte del POMPS
Giugno 2018
Link dell’originale: https://zad.nadir.org/spip.php?article6049&lang=it
1 Qu’est-ce que la ZAD ? 2015 (https://zad.nadir.org/spip.php?article3367)
2 Appel à soutien du jardin plantes médicinales de la ZAD et au projet de soins
4 Vedere ad esempio la Presentation du projet B612, 2017 (in francese) (http://zad.nadir.org/spip.php?article4635)