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Con lo spirito della III Internazionale

Ieri noi, la Comune Internazionalista del Rojava, abbiamo festeggiato la nascita dell’Internazionale Comunista,conosciuta anche come la Terza Internazionale. Moltie nostrie contemporaneie considerano il Comintern come uno strumento di controllo in mano alla leadership stalinista dell’URSS. E’ ritenuto responsabile del fallimento della Rivoluzione Spagnola, dell’isolamento della Yugoslavia titina, dell’abbandono deille rivoluzionarie grechei e italianie e di molte altre conseguenze della dottrina del “Socialismo in una sola nazione”. Ma se è comunemente accettato che “la storia è sempre scritta dai vincitori” (citazione scritta dalla mano del fascista francese RobertBrasillach1) come eredi della Resistenzariconfermiamo il nostro impegno nel combattere il fascismo sul piano politico, sociale e oggi anche su quello storico. Lo facciamo  sottolineando la lotta di migliaia di donne e uomini che hanno  portato a questo storico passo rivoluzionario, reso possibile solo al costo di enormi sacrifici e impegno deille rivoluzionarie di tutto il mondo. Riprendiamoci la nostra storia!
Benché la terza Internazionale sia stata fondata nel 4 marzo 1919 possiamo dire che i suoi semi sono stati piantati cinque anni prima, il 4 agosto 1914 quando il più antico e potente partito Social-Democratico d’Europa, partito guida della Seconda Internazionale, votò a favore dei crediti di guerra. A causa di questo tradimento dei valori antimilitaristi e internazionalisti moltie pensarono che il partito avrebbe dovuto chiamarsi SPD Tedesco e non SPD della Germania2. Questo tradimento avrebbe dato a Lenin materiale per definire e denunciare i “social-chauvinisti”, come chiamava i socialisti che preferivano unirsi ai ranghi  dello stato-nazione invece che quelli delle classi lavoratrici oppresse. Questo tradimento avrebbe portato all’assassinio di più di 9 milioni di uomini poveri che combattevano le guerre dei ricchi. Con l’eccezione di una piccola minoranza di quello che diventerà il gruppo di Zimmerwald3  e di alcune importanti figure socialiste come Jean-Jaures e Rosa Luxembourg, milioni di contadinie e lavoratorici galvanizzatie da sentimenti nazionalistici e condotti da un enorme numero di militanti della 2° internazionale si trovarono faccia a faccia a combattere l’uno contro l’altro dai due  lati delle trincee disegnate dagli stati-nazione 
Durante la I Guerra Mondiale, che Lenin definì come Guerra Civile Inter-imperialista, egli concluse che la secondainternazionale, fondata nel 1889, era morta e sepolta e che fosse necessario fondarne una terza che imparassedagli errori e dalle sconfitte di quella precedente. Per marcare ancora di più la rottura con le linee revisioniste e chauviniste del partito Social-Democratico Lenin intensificò il suo impegno internazionalista. sviluppando le tesi del “disfattismo rivoluzionario” e “patriottismo socialista“, che saranno adottate dai Bolscevichi, che si pronunciarono a favore della sconfitta della Russia, che avrebbe loro consentito di passare alla fase rivoluzionaria
La Rivoluzione Russa, che arrivò come una sorpresa, sarebbe giunta ad incarnare una speranza per tutti i movimenti rivoluzionari del mondo. Quei “dieci giorni che sconvolsero il mondo” diedero un rifugio sicuro a tutte le persone oppresse che non ne potevano più di colonialismo, disuguaglianza, guerre imperialiste. L’internazionalismo era visto e analizzato come un dovere ma anche come una necessità. I Bolscevichi credevano che, senza una rivoluzione socialista che scuotesse gli stati-nazione capitalisti, tutte le forze militari reazionarie si sarebbero unite per annientare la Rivoluzione di Ottobre come avevano fatto con la Comune di Parigi. Per questo serviva una nuova internazionale che supportasse e coordinasse le rivoluzioni in Europa e ovunque nel mondo.
Lo scopo di queste linee era sottolineare lo spirito della Resistenza e la necessità di essere unitie. Così nacque la terza internazionale che, contrariamente alle precedenti, non era limitata alla discussione ma attuava pratiche radicali. Per la prima volta nella storia moderna, c’erano territori liberati in cui ille rivoluzionarie lavoravano apertamente all’abbattimento degli stati-nazione, del capitalismo e del colonialismo. In altre parole, conducendo una guerra internazionalista e rivoluzionaria.
Nel 1920, il congresso di Baku conosciuto anche come “il congresso dei popoli dell’est” propose, attraverso le parole di Zinoviev, di superare la citazione di Marx “lavoratori di tutto il mondo unitevi”, sostituendola con “lavoratori e oppressi di tutto il mondo unitevi”, poichè la rivoluzione non è imitata al mondo industriale. Si dichiarò apertamente che la rivoluzione in Russia era solo un piccolo passo che iniziava la lunga marcia per la liberazione dei popoli di tutto il mondo.
La guerra fredda, le purghe staliniane e il revisionismo portarono all’inizio del processo che consumò l’ideale internazionalista e il rifugio che era stata l’URSS. Il socialismo in un solo paese avrebbe fatto prevalere gli interessi dello stato sugli interessi della rivoluzione. Una delle cose più importanti che possiamo imparare da tutte le rivoluzioni è che quando il “pensiero pragmatico”  è considerato più importante degli ideali e dei valori, il processo rivoluzionario è condannato al declino e all’estinzione. Con lo schema dei due blocchi il mondo fu diviso tra due strutture statali. La Rivoluzione Bolscevica non riuscì ad andare oltre allo stato come teorizzato dagli scritti di Marx, Engels e Lenin.Le file rivoluzionarie dopo la guerra di Spagna si divisero profondamente e i movimenti di liberazione nazionale non ebbero altra scelta che aumentare o diminuire le lotte in linea con le decisioni del Kremlino.
Ciò che Lenin aveva criticato e identificato come nazionalismo piccoloborghese dei russi bianchi” avrebbe segnato la rottura tra l’ URSS e la Cina. L’Orientalismo5 e le politiche Stato-centriche avrebbero separato questi due processi rivoluzionari con confini comuni. Soprattutto sotto Krushchev, l’URSS si trovò più vicina agli USA che alla Repubblica Popolare Cinese.A quel tempo, la Cina denunciò Kruschev come revisionista e condannò la coesistenza pacifica tra Russia e USA. Gli ideali socialisti e la fratellanza fra popoli furono cancellate dalla mentalità e dalle scelte politiche concentrate sullo Stato. Ad esempio, la Cina supportò il governo di Pinochet dopo il colpo di stato militare contro Salvador Allende. Una dittatura che portò al massacro, alla sparizione, alla detenzione di migliaia di rivoluzionarie cilenie. L’URSS strinse un accordo segreto con la Gran Bretagna relativo alla Grecia poichè riteneva non fosse ancora giunto il momento della rivoluzione in Grecia e abbandonò i rivoluzionari greci che erano prossimi a vincere la guerra civile. Stalin si spinse persino oltre in questa direzione, sciogliendo il Comintern nel 43 per diminuire le tensioni con “gli Alleati”.
Cina e Urss finirono nel vicolo cieco dello schema mentale statalista, proteggendo sempre gli interessi del proprio stato e delle proprie zone di influenza e da queste posizioni distrussero le potenzialità internazionaliste. Bisogna aspettare fino al 1955, con la conferenza di Bandung per vedere quella che sarà comparata alla seconda Internazionale del cosiddetto “Terzo Mondo”, in cui si riunirono 29 paesi e rappresentanti degli stati dell’Asia e dell’Africa. Questa conferenza pose le basi per quello che sarebbe diventato il “movimento dei paesi non allineati” nel 1961. Questo movimento riunì molti nuovi paesi indipendenti, condannando il colonialismo, l’imperialismo e la divisione del mondo in due blocchi; si trovarono però ad affrontare gli stessi problemi delle prime due internazionali: accordo sui principi ma mancanza di unità nelle decisioni e nelle azioni. La principale differenza è che si trattava di rappresentanti di stato, i quali in massima parte non rappresentavano i popoli stessi. In ogni caso, l’opposizione alla visione binaria del mondo proposta da Usa e Urss non convinse la maggior parte dell’umanità.
 
 Le lotte supportate dall’URSS rivoluzionaria riuscirono a evitare la  sua torsione autoritaria e revisionista e riuscirono a organizzarsi e a scuotere il pianeta. Negli anni ’60 il marxismo-leninismo fu messo in pratica,  ma non nello stato in cui era nato e nel paese che ne rivendicava l’esclusiva (URSS e  PRC). Cuba, Algeria, Vietnam, Palestina furono processi rivoluzionari che avrebbero aperto l’internazionalismo del Terzo Mondo e messo in pratica quello che sosteneva Lenin “usare le contraddizioni tra i poteri imperialisti e le loro alleanze per fare gli interessi degli stati proletari“. Ma una piccola differenza sta nel fatto che nessuno di questi quattro stati aveva sviluppato un forte proletariato, ma hanno lottato per il loro popolo e per le classi oppresse. 
 
La lotta che sarà teorizzata da Frantz Fanon, Ernesto Che Guevara, Amilcar Cabral e da molti altri difensori deglie oppressie di tutto il mondo. Cuba costituì delle unità militari, mediche, educative, che andarono a supportare la maggior parte dei movimenti rivoluzionari in Sud America, Africa, Asia. Ad esempio, in Africa più di 500mila militanti cubani internazionalisti adempirono al loro dovere internazionalista, mettendo in pratica le decisioni della terza Internazionale più di quanto il Comintern nella sua breve esistenza fosse stato in grado di fare.Amilcar Cabral, una delle più importanti 
figure rivoluzionarie del continente africano avrebbe trovato la parole migliori per descrivere il ruolo che l’Algeria benbellista giocò in supporto ai movimenti rivoluzionari: “I Cristiani vanno al Vaticano, i Musulmani alla Mecca e i rivoluzionari in Algeria.
 
Quella Palestinese come quella Vietnamita furono presentate dagli imperialisti come guerre civili ma di fatto tutte erano, per il movimento socialista rivoluzionario,  parte di una battaglia in cui la vittoria o la sconfitta sarebbe stata sentita su scala mondiale Per quelle due rivoluzioni era chiaro che ci fosse una barricata e due lati, ma stavolta erano combattenti per la libertà contro agenti dell’imperialismo, i popoli contro gli stati. Tutti i difensori dei popoli presero posizione contro l’aggressione statunitense al Vietnam, il movimento contro la guerra negli Usa, il movimento studentesco tedesco, solo per citare i più famosi. La sorprendente resistenza del Vietnam e della Palestina diede speranza ed energie a tutti i movimenti rivoluzionari nel mondo. i Fedayyin che combattevano i carri armati israeliani con i sassi, la guerriglia Vietcong con i suoi Kalashnikov contro i B-52 americani.
Che Guevara, Ben Barka e Cabral stavano preparando la Conferenza Tricontinentale per riunire tutti i Movimenti di Liberazione in Asia, Africa, Sud America sotto lo slogan del Che: “creare due, tre, molti Vietnam”. Il Sud America, da Santo Domingo all’Argentina guardava a l’Havana come un esempio per sviluppare molti movimenti di guerriglia per difendere i loro popoli completamente oppressi da governi filo-statunitensi. Rivoluzionari da tutto il mondo vennero a Beirut per difendere la rivoluzione palestinese. Questo era il parossismo dello spirito che era stato sprigionato  daille rivoluzionarie della Comune Parigina, dalla terza Internazionale, daille militanti cubanie e algerinie, dalle Brigate Internazionaliste in Euskal Herria, Aragona, Andalusia, Catalogna e Galizia.
Dopo quegli anni gloriosi la miglior sintesi è fatta dalla voce di Che Guevara.
“Perchè questa grande umanità ha urlato “Basta!” e ha iniziato a camminare. E la sua marcia di giganti non si fermerà prima di aver conquistato una reale indipendenza, per la quale hanno già sacrificato moltie martiri, piùdi una volta, invano. Ora, in qualunque caso, quelli che muoionomoriranno come quellie di Cuba, come quellie di Playa Giron: moriranno per la loro unica, genuina, inalienabile indipendenza.
 I movimenti rivoluzionari degli anni ’80 e ’90 iniziarono a essere consumati da questa tanto desiderata indipendenza, e i nuovi stati indipendenti giocarono il ruolo di colonizzatori con “pelle nera e maschere bianche”insieme ad una repressione incredibilmente dura e perfettamente coordinata da parte degli stati. Ci sono voluti poco meno di cento anni di lotte e sacrifici dalla fondazione del Comintern alla Rivoluzione del Rojava e delKurdistan per fare autocritica riguardo alle convinzioni che abbiamo avuto. Cioè che uno stato fosse un passo necessario e inevitabile per la Liberazione del nostro Popolo. Il 19 luglio 2011 Kobane divenne l’eco del 7 novembre 1917 a San Pietroburgo. La battaglia di Kobane è l’eco della battaglia di Stalingrado, in cui i reggimenti di Daesh e quelli nazisti furono distrutti, I battaglioni internazionalisti che hanno combattuto a Deir-el-zor e Afrin sono gli eredi delle Brigate Internazionali che combatterono in Aragona e a Saragozza.
Che le fiamme della Resistenza che è iniziata in Rojava possano illuminare altri popoli che vogliono combattere per la loro indipendenza e per una società socialista e anti-patriarcale.
Bijî Serok Apo, Bijî Berxwedana Kurdistan, Bijî Biratî ya Gelan 
2 SPD Tedesco  richiama un maggior grado di nazionalismo mentre SPD della Germania richiama l’idea di unasezione tedesca dell’Internazionale
5 tendenza filocinese

Chiamata alla mobilitazione contro il G7 e il suo mondo.

TESTO ORIGINALE: https://g7ez.eus/fr/appel/

Il G7 raggruppa le sette potenze economiche occidentali (Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Canada). Stabilisce una gerarchia tra i paesi che determina quelli che sono potenti, ideologicamente ben allineati e rifiuta quelli che non lo sono. Fin dalla sua nascita il G7 è messo in discussione per la sua illegittimità. Sostenendo il libero mercato, la deregolamentazione, l’austerità finanziaria, i paesi del G7 hanno contribuito alla crescita di quelle disuguaglianze sociali a un livello mai raggiunto in 100 anni. I vertici del G7 rappresentano la dominazione delle principali potenze occidentali. Servono a far accettare i compromessi più favorevoli agli interessi del capitalismo. E’ all’interno di questi compromessi che si decidono le politiche economiche e finanziarie che saranno imposte ai popoli del mondo.

Il prossimo vertice avrà un’ulteriore particolarità: si svolgerà nei Paesi Baschi in un territorio in cui la resistenza allo sfruttamento capitalista, all’oppressione imperialista e eteropatriarcale sono radicate e vivaci, così come la solidarietà e la volontà di costruire un altro mondo

Il mondo del G7

L’obiettivo del vertice del G7 è stato per lungo tempo quello di circoscrivere al meglio le crisi successive del capitalismo, imponendo al mondo il cancro neoliberista. Per i partecipanti oggi si tratta di salvare il sistema dalle conseguenze delle politiche adottate da loro stessi da più di 40 anni. Perciò l’efficacia che pretendono di avere è messa in discussione dall’instabilità internazionale, dalle molteplici crisi aggrovigliate,  dalla potenza degli interessi capitalistici e le misure adottate che non trattano mai i problemi alla radice. Questo vertice, organizzato con un costo elevato (500 milioni di dollari nel 2018), si riduce a un’operazione di comunicazione.

Lo stato del mondo rappresentato dal G7 è oggi profondamente mortifero. I suoi aspetti nefasti sono evidenti e incontestabili:
- cambiamenti climatici
- avvelenamento dell’ambiente e riduzione della biodiversità
- aumento delle disuguaglianze tra gli stati e le classi sociali in ciascuno di essi
- guerre imperialiste, conflitti perenni e povertà per milioni di persone
- migrazioni forzate e chiusura degli stati ricchi
- crescita dell’autoritarismo, del fondamentalismo religioso e delle idee razziste
- aumento delle violenze di genere alimentate dalle politiche neoliberiste
- spoliazione dei cittadini, dei popoli e dei territori dal superpotere delle multinazionali

Una buona parte dell’umanità è privata dei diritti elementari contenuti nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.Alcuni popoli sono violentemente oppressi e il loro diritto all’esistenza e all’autodereminazione negato, anche nel cuore dell’Europa. Anche nei paesi del G7 le politiche dell’austerità provocano il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Siamo in una situazione di crisi sistematica multidimensionale, sociale, politica, ambientale, geopolitica che sta mettendo in gioco le condizioni di vita sulla terra.

Quali saranno le tematiche trattate nel 2019?

Ogni anno, nel tentativo di rispondere alle critiche sulla sua illegittimità, il G7 propone dei temi di attualità e invita i protagonisti della società civile a discuterne. La verità è che il G7 non ha mai mantenuto le sue promesse. Le sue dichiarazioni finali sono una lista di buone intenzioni mai seguite da misure concrete o stringenti: aiuto allo sviluppo (Scozia 2005), paradisi fiscali (2013 Irlanda), diritti dei rifugiati (Italia 2017), gli esempi abbondano.

La riunione del G7 per il territorio coinvolto

La riunione del G7  implica un importante limitazione delle libertà di circolazione e manifestazione sul territorio coinvolto. Impone un vero stato di assedio e un’occupazione poliziesca soffocante. Perchè dovremmo accettare tutto questo senza reagire? All’utilità del G7 non crede più nessuno. Nessuno vuole più il G7. E’ uno spreco di denaro pubblico e la miglior soluzione è la sua scomparsa pura e semplice

Dai Paesi Baschi costruire un altro mondo possibile.

Ci mobilitiamo in occasione del G7 dell’agosto 2019 nei Paesi Baschi perchè il mondo che esso rappresenta deve cambiare profondamente e ora. Costruire un altro mondo è possibile e urgente; e dai Paesi Baschi dobbiamo fare la nostra parte. Qui le mobilitazioni e i progetti in vista di un cambiamento di modello di vita si sono moltiplicati: per frenare il cambiamento climatico, in favore della libertà di movimento, per la difesa degli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici, contro l’oppressione di genere, per la diversità culturale e linguistica, contro la guerra e in favore della pace, in sostegno ai progetti di autorganizzazione.

E’ per questo, mentre ci opponiamo al G7, vogliamo rafforzare le nostre lotte per un cambiamento sociale.

Ci mobiliteremo per difendere e costruire altri modelli, aprire altre vie per un mondo in cui la giustizia sociale, solidarietà e uguaglianza sono delle esigenze e delle realtà concrete. Un mondo già all’opera nelle lotte ai quattro angoli del pianeta per:
- la rottura delle logiche capitaliste basate sullo sfruttamento;
- la fine del patriarcato e della divisione sessuale del lavoro;
- l’azione determinata contro i cambiamenti climatici e in favore di stili di vita che rispettano e preservano gli ecosistemi;
- un mondo basato sulla solidarietà tra i popoli, l’antimperialismo e l’internazionalismo, relazioni internazionali demilitarizzate
- il potere di decidere democraticamente di tutta l’organizzazione della vita comune e il diritto all’autodeterminazione per tutti i popoli
- la difesa della diversità culturale e linguistica
- l’uguaglianza reale delle popolazioni oppresse dal razzismo, pari diritti per tutti gli abitanti del pianeta

Invitiamo tutti i soggetti in accordo con questo appello a raggiungere la piattaforma. Noi chiamiamo tutte le persone di qui e di fuori che condividono questa visione a mobilitarsi per riunire il massimo delle forze per il G7 agosto a Biarritz.

I principi del funzionamento della piattaforma Paesi Baschi G7EZ 

- La piattaforma “G7 EZ!” è costituita, nei paesi Baschi (nord e sud) sulla base dell’ “Appello alla mobilitazione contro il G7 e il suo mondo” che riassume le ragioni per opporsi al G7 e i modi di vita alternativi difesi

- Sarà aperta a tutti i movimenti associativi e popolari, organizzazioni sindacali o politiche in accordo con questo appello e che vorranno partecipare

- Ha come obiettivo di coordinare e organizzare diverse mobilitazioni prima e durante il G7 d’agosto 2019 a Biarritz. I mezzi d’azione della piattaforma saranno quelli della battaglia delle idee (educazione popolare, condivisione di competenze militanti…), le mobilitazioni di massa o la disobbedienza civile

- La piattaforma lavorerà in collaborazione con le reti francesi, spagnole o internazionali che vorranno mobilitarsi in questa occasione

- Al di là del contenuto dell’appello, base politica della piattaforma, e delle mobilitazioni decise e organizzate in comune, le strutture partecipanti alla piattaforma si riservano di sviluppare i propri ragionamenti e iniziative contro il G7 nel rispetto delle altre componenti della piattaforma e evitando la concorrenza. La piattaforma non prenderà posizione riguardo le iniziative organizzate fuori dalla stessa

- La piattaforma applicherà, tra i principi che rivendica: la parità nella rappresentazione pubblica e comunicazione trilingue (basco, francese, spagnolo).

La Fine della Zad, l’inizio di cosa?

Nota: questo testo è stato scritto in giugno 2018, dopo i due sgomberi parziali della ZAD, dopo mesi di tensioni (incluso aggressione fisiche) tra le diversi gruppi che abitano la ZAD e dopo la firma di Accordi di Occupazione Precarie tra la Stato e una parte dei luoghi occupati
La fine della ZAD, l’inizio di che cosa?
Di quello che era la ZAD, qualcosa è finito, o almeno si trasforma. Abbiamo bisogno di fare il punto su dove siamo e dove andremo. “Noi”, siamo alcune  persondello stesso gruppo che si sono riunite per scrivere questo testo.Alcun*abitant* della ZAD hanno firmato degli Accordi di Occupazione Precarie (“COP”) con lo Stato. Per noi, è la fine di qualcosa. Siamo statnumeros* a partecipare a questa scommessa. Alcun*l’hanno fatto sentendosi un po’ bloccat* o obbligat* dalla pressione della polizia ma anche da quella dei compagni e compagne. Le persone che scrivono questo testo non sono del tutto convinte che fosse una buona o una  cattiva idea. Abbiamo provato a fare qualcosa in quella situazione e non ci è sembrata la peggiore delle opzioni, anche se non ci fa sognare. Se nessuno avesse firmato niente, forse tutto sarebbe stato distrutto. Ma forse avremmo perduto meno sostenitor*, meno dignità, ci si odierebbe meno tra di noi e non avremmo perduto molte case. Non lo sapremo mai. Ci sembra più interessante iniziare da dove siamo adesso e pensare alle conseguenze.In tutti questi anni di lotta insieme abbiamo già acquisito molte cose, che non prederemmo se tutto si fermasse qui. Alcun* abitanti iniziano a andare via perché non è più il luogo in cui volevano vivere, altr* pensano di restare. Condividiamo molte analisi sulla situazione della ZAD ma facciamo delle scelte pratiche diverse in una situazione complicatissima e per il momento abbastanza spiacevole.
 
Che cosa era la Zad
Alcuni anni fa ci eravamo chiesti “che cos’è la ZAD”?1 La ZAD, nella forma in cui esisteva da una decina d’anni veniva dell’azione diretta: il fatto stesso di abitarci era illegale. Una varietà di tattiche era usata per resistere al progetto e a quello che rappresentava: dasabotaggi di escavatori alla semina collettiva sulle terre nella “zona dei lavori” passando per la resistenza degl* abitant* agli espropri di case e fattorie e le controperizie. Era anche un posto in cui si provava costruire un’altra realtà, in cuieravamo meno dipendent* dallo Stato e dal capitalismo. Imparavamo ad essere più autonomi per le cose pratiche come la costruzione, la cura o il cibo, come per i modi di organizzarci insieme senza seguire i regolamenti ufficiali.
La ZAD era anche una comunità più o meno aperta: con esperienze comuni, con un’assistenza reciproca e dei conflitti tra quell* che ci vivevano, ma dove ciascun* poteva anche venire a passare alcuni giorni, alcune settimane, o venire a viverci.
Anche se non era facile per tutt* trovare il proprio posto era un luogo di incontro tra gente uscita da mondi diversi, dai militant* ai punkabbestia, dagli occupant* ai contadin*.
Tutto questo si faceva grazie ad alcune idee che ci  sembravano abbastanza condividse: lottare contro la pianificazione e la gestione del territorio; provare ad allontanarsi delle logiche di domino. E queste idee si sono diffuse, soprattutto dopo l’operazione César avendo risonanza un po’ dappertutto, con il sostegno a quello che succedeva qua ma anche con la creazione di altre ZAD e, in termini piú ampi, la diffusione di una forma di resistenza. All’epoca, ci chiedevamo: come evitare la depoliticizzazione e l‘assorbimento del nostro movimento da parte dello Stato?
 
Quello che è finito
Ci sembra che una grande parte delle cose che rendevano la ZAD di cui parlavamo in questo momento sono finite: non solo non c’è più un progetto che unisce molteplici opposizioni ma non è più un’enorme squat.
Per la più maggior parte di noi, la lotta contro l’aeroporto non era la meta finale, ma faceva parte di una lotta più globale contro il “mondo che lo accompagna”. Tuttavia, abbiamo tutt* delle opinioni diverse su ciò che significa esattamente. Fino a quando c’era il progetto dell’ aeroporto, era evidenteper molta gente che valeva la pena essere qui e occupare il terreno.Decine di migliaia di persone erano d’accordo per riunirsi contro il proietto di aeroporto ma non lo sono necessariamente per proteggere la ZAD.
Anche tra abitant* ci chiedevamo se vale proprio la pena per la lotta globale di restare qui a occupare un pezzo di terreno in campagna, e se si può continuare a fare esistere qui qualcosa che non si trova altrove.
 
Dopo l’abbandono del progetto ci sono più dibattiti su dove e come costruire perché non immaginiamo più che tutti i boschi, i terreni incolti e i campi siano minacciati. Per esempio, ha meno senso per la difesa costruire capannesugli alberi se le foreste non rischiano più di essere distrutte. C’è anche gente che vorrebbe ricostruire solamente dove c’erano vecchie borgate. Fisicamente e psicologicamente cambia il modo in cui si vede e si vive la ZAD. Non è più un‘ occupazione gigante dove siamo tutt* pirat* e decidiamo le regole del gioco noi stessi.
Dopo l’abbandono del progetto abbiamo deciso più o meno collettivamente di iniziare un processo di negoziazione con lo Stato sul futuro delle terre. Adesso abbiamo firmato delle COP, c’è una forma di legalizzazione che si inizia, anche se precaria.
Che ci piaccia o no, cambia qualcosa di fondamentale in quello che è la ZAD. L’apertura della ZAD potrebbe essere in pericolo. Anche con le migliori intenzioni tra di noi (e non è sempre facile crederci adesso), aver assunto impegni verso lo Stato fa sì che non sia più cosi scontato lasciare che nuove persone vengano, costruiscano dove vogliono e facciano i lori progetti pirati. 
Cercare d’avere una certa sicurezza porta altre conseguenze. Se vogliamo fare qualcosa che dia ancore vita a questo posto bisogna ammetterlo e poi trovare modi di conservare gli spazi per i pirati. È possibile che ci sentiamo limitati in termindi rischio assumibile nelle strategie di lotta illegale contro il “mondo che lo accompagna”. Capiamo molto bene perché ci siano persone dissuase dal sostenerci politicamente e materialmente da quando abbiamo scelto di seguire il camino che il governo ci ha “suggerito”, e anche perché alcune persone tra di noi non vogliano più vivere qui.
 
Quello che non possono riprenderci
 
Guardiamo a ciò che è stato costruito negli anni di lotta. Molti sono gli strumenti che abbiamo cercato di far vivere: il ciclo dei dodici, la squadra medica, la facilitazione, sono tutte esperienze per le lotte di oggi, qui e altrove.
 
Molti legami sono stati creati qui, persone improbabili si sono incontrate, dagli ecologist* radical* ai contadin* in lotta, daii cittadin* impegnat* agli squatter* anarchici. Questi legami sono certamente danneggiati dalle tensioni che abbiamo vissuto negli ultimi mesi, ma ci hanno influenzato in modo duraturo. Conserviamo le lezioni di una volontà comune nel lavorare e produrre insieme, sempre per ridistribuire equamente. Si tratta del non-mercato a prezzo libero, ma anche di alimentare la solidarietà instaurata con gli scioperanti o di estendere il nostro sostegno ai manifestant* ferit* o imprigionat*. Nei nostri tentativi di autogestione condivisa, abbiamo scoperto e poi portato alla luce altre lotte parallele, come il razzismo o il sessismo. Persone che sono venute a combattere contro l’aeroporto hanno iniziato condividendo le faccende domestiche e si sonp ritrovate, ad esempio, in riflessioni sul validismo.
 
Abbiamo anche imparato e condiviso molte abilità che non avremmo mai immaginato, come la facilitazione di discussioni, la coltivazione con trattori o la saldatura, ma anche la preparazione di pasti collettivi vegani, la battucada, i pronti soccorsi, ecc. E tutto questo, nessun* ce lo porterà via, nemmeno la repressione statale.
Abbiamo cercato, a volte con successo, di vivere senza Stato, senza polizia, senza carceri o ospedali psichiatrici. Abbiamo fatto l’esperienza delle trappole che si incontrano su questo percorso con molti momenti di dubbio o fallimento, ma anche con molte volte in cui abbiamo fatto meglio che altrove. Per esempio, con il ciclo dei dodici – un gruppo di mediazione dei conflitti personali basato sull’azione volontaria e il sorteggio, il laboratorio di coascolto basato sul concetto di benevolenza, gruppi di discussione che si occupano delle nostre dipendenze, luoghi di disintossicazione, ecc.
 
Questa lotta non solo ha ottenuto l’abbandono del progetto dell’aeroporto. Ci ha anche permesso di acquisire connessioni, esperienze di vita, competenze e  di vivere momenti forti e belli nel corso degli anni. Ci dà fiducianell’ideache insieme possiamo riuscire a piegare lo Stato nonostante la forza della sua repressione.
È necessario continuare l’opera di memoria, lasciare tracce affinché queste esperienze alimentino una cultura di lotta che possa essere utilizzata altrove.
 
Speranze per il futuro
Pensiamo che sulla ZAD si stia voltando pagina. Ci sembra che ciò che sarà fatto qui sarà molto diverso da ciò che è stato fatto in precedenza. In questo senso, una ZAD è morta. Ma è anche il momento di riorganizzarsi per il futuro. Alcun* di noi non riescono più a riconoscerci o sentono che è ora di coinvolgersi altrove o di (ri-)diventare nomadi. Per altri, una nuova lotta inizia qui, con molte cose da costruire e fare – tra continuità e nuove idee. Speriamo che, mantenendo i legami, queste due scelte possano rafforzarsi a vicenda. Ma cosa ci motiva per il futuro?
La ZAD può già essere un luogo in cui vivere e avere accesso alla terra collettivamente, mentre altrove è molto difficile. Speriamo che le persone che ci passeranno e ci abiteranno continuino a cercare di costruire un’altra realtà. Vogliamo continuare ad avere un’agricoltura collettiva non di mercato che alimenta la resistenza qui e altrove – mense militanti, luoghi di lotta in città.
Le nostre ambizioni non devono limitarsi a fare qualcosa di bello e diverso nella nostra zona: se non c’è più qualcosa di visibile e aperto al mondo esterno che succede qui, la ZAD sarà molto meno interessante per noi e per i nostr* amic*! Le autorità sarebbero molto felici se presentassimo la faccia liscia dei neorural* biologic*, inventiv* ma non troppo. Spetta a noi lottare affinché ciò non accada e che l’area rimanga aperta e diversificata. Come fare? Ad esempio, sostenendo le lotte per il diritto all’alloggio, la difesa dell’alloggio leggero, mobile e autocostruito, in città e in campagna; mantenendo le aree di accoglienza sulla ZAD e squadre di volontari dedicati; rimanendo apert* a iniziative non agricole o non di mercato; non cercando di rendere invisibile la diversità dei punti di vista; e continuando a inventare molteplici strategie per contrastare la volontà di controllo delle “autorità”. Le dinamichedi cura non devono essere spente, ma rafforzate. Non si tratta solo della squadra medica e della formazione di primo soccorso nei cortei, ma anche della cura tramite le piante, con i giardini medicinali e la capanna di trasformazione e i gruppi che vengono formati in fitoterapia2, così come le dinamiche relative all’invecchiamento insieme come il progetto “Vivere a tutte le età sulla ZAD “Se la ZAD recuperasse un po’ di stabilità, alcune persone vorrebbero poter fondare un collettivo di vita attorno ad un progetto che cercherebbe di fornire un sostegno reale alle persone in difficoltà psicologica o che desiderano lottare contro le loro dipendenze4.
Un altro vantaggio della ZAD è che può offrire spazio per ospitare riunioni, laboratori e corsi di formazione autogestiti e non di mercato, cosa che sarebbe più difficile da realizzare se si dovesse pagare per occupare uno spazio. La ZAD deve cosi continuare a combattere apertamente e attivamente il capitalismo e il dominio. Può continuare a condividere e sostenere idee e lotte. Può rimanere un luogo dove le lotte convergono, fornendo assistenza logistica o organizzativa. L’azione diretta, che non si concentra più sulla difesa del luogo e sulla lotta contro l’aeroporto, può portarsi ad altre lotte. Di fronte ai blocchi dello stato repressivo, non siamo riusciti a fare quello che volevamo su molti punti, ma desideriamo ardentemente che le lotte per prendere il controllo della nostra vita si diffondano ovunque e che i legami che sono stati forgiati qui aiutino.
 
Alcun* occupant* della ZAD di Notre-Dame-des-Landes che fanno parte del POMPS 
Giugno 2018
 
1 Qu’est-ce que la ZAD ? 2015 (https://zad.nadir.org/spip.php?article3367)
Appel à soutien du jardin plantes médicinales de la ZAD et au projet de soins
Vivre sur la ZAD à tout âge, 2017 (https://zad.nadir.org/spip.php?article4770)
4 Vedere ad esempio la Presentation du projet B612, 2017 (in francese) (http://zad.nadir.org/spip.php?article4635)

23.03.19 Manifestazione villaggi contro la miniera

23.03.2019 in Renania (zona di Colonia)
Manifestazione dei villaggi minacciati verso Keyenberg
 
Alle 15 partiranno diversi cortei da diversi posti nella zona di Garzweiler: a piedi da Kaulhausen, Wanlo, Holzweiler, Berverath, Kuckum/Unterwestrich e in bici da Erkelenz. Un’ulteriore manifestazione in bici inizierà nella citta’ di Mönchengladbach alle 13 . Tutti i cortei marceranno o pedaleranno verso Keyenberg – il villaggio che, secondo i piani dell’azienda RWE, dovrebbe essere la prossima vittima dell’estensione della miniera di carbone. Con un presidio conclusivo vogliamo dire: fin qui e non un passo oltre!
https://www.alle-doerfer-bleiben.de/

One Struggle One Fight 

Da diverse settimane le studentesse e studenti di Fridays for Future organizzano manifestazioni in diverse parti del mondo per il nostro futuro e per una politica rispettosa del clima. Centinaia di migliaia di giovani hanno capito che non possiamo aspettare che la politica risolva i problemi del cambiamento climatico per noi. Le persone che siedono nei ministeri e nei consigli di amministrazione sono le stesse che traggono profitto dallo sfruttamento della nostra terra.
Dopo che la commissione governativa sul carbone ha raggiunto il “consenso” per la cessazione dell’uso di questa risorsa* – un consenso che è ancora peggio di quanto potessimo aspettarci – la RWE [proprietaria della miniera di carbone e della zona comprendente la foresta di Hambach e i villaggi circostanti, ndt] continua a distruggere i villaggi vicini alla miniera, ad abbattere e tagliare alberi; a rivoltare giardini, mentre le vicine vivono ancora nelle loro case.
Con l’organizzazione “Tutti i villaggi restano” (Alle-Dörfer-bleiben) si sta formando una resistenza contro quest’insensata dimostrazione di potere del gigante vacillante dell’energia. La distruzione di villaggi per un carbone di cui non avremo mai bisogno non può essere tollerata!
Riuniamo tutti questi movimenti e proclamiamo la prima manifestazione di Fridays for Future alla foresta di Hambach!
 
Ndt: La manifestazione ha avuto luogo con successo nel fine settimana del 22-23 febbraio 2019.
 
Fridays for future (Venerdì per il futuro) esiste anche in Italia e il 15 marzo ci sarà un grande sciopero globale indetto da questo movimento: https://www.fridaysforfuture.it/
 
Il 23 marzo ci sarà un grande manifestazione in difesa dei villaggi minacciati.
 
Qui il sito (in tedesco) dell’organizzazione Alle Dörfer bleiben: https://www.alle-doerfer-bleiben.de/
 
 *la commissione si è espressa per una cessazione nell’anno 2038, data che tutte le organizzazioni ambientaliste giudicano inadeguata e che è stata di fatto imposta da un compromesso con le lobby industriali, come ha dimostrato un’inchiesta della Deutsche Welle, ndt

Storia della foresta di Hambach

Prima che la RWE (Rheinisch-Westfälische Elektrizitätswerke, la società elettrica della Renania Settentrionale-Westfalia in Germania) iniziasse la distruzione della foresta, questa zona si chiamava ancora Burgewald (Rocca del bosco). Il cambio di nome in foresta di Hambach (Hambacher Forst) serve anche a questo: a nascondere la lunga storia della foresta e il suo valore in quanto una delle foreste più antiche della Germania. Qui segue la storia di Burgewald:

12.000 anni fa il Centro Europa vedeva la fine dell’ultima glaciazione. Lentamente rinverdiva l’Europa Centrale e Occidentale e nei secoli a venire si ricopriva di fitte foreste di faggi.

Solo in pochi altri posti l’ecosistema si sviluppò in modo così vario: ad esempio, nelle paludi, sulle coste, nelle regioni alpine. E solo in pochi luoghi vi erano altre tipologie di foresta al di là di quelle di faggi. Uno di questi luoghi era Burgewald, caratterizzata da un rigoglioso querceto. Trascorsero i millenni e la foresta cresceva e cresceva. Per lunghissimo tempo la Regione fu frequentata da pochissimi uomini: proprio perché la zona era ancora troppo fredda e fangosa …

Le prime testimonianze dell’esistenza di Burgewald risalgono all’VIII secolo d.C.. A quel tempo la foresta apparteneva a Carlo Magno. Alla sua corte si trovava Arnold di Arnoldswieler, un cantastorie. Questi, a conoscenza della precaria situazione di vita degli abitanti della zona, un giorno in cui accompagnò Carlo in una battuta di caccia, lo pregò di regalargli tanta foresta quanta sarebbe stato in grado di attraversare a cavallo durante il pasto del re. Carlo acconsentì e Arnold partì di corsa. Si era già accordato con la comunità locale affinché gli tenessero pronti cavalli freschi e riposati, così che lui, facendo la staffetta, potesse percorrere tutto il perimetro della foresta in una volta sola.

Carlo apprezzò lo stratagemma di Arnold e gli regalò un anello come garanzia che la foresta da quel momento in poi sarebbe stata sua. Arnold donò Burgewald agli abitanti dei villaggi limitrofi e la chiamò “Wald Gottes” (Foresta di Dio). Gli uomini delle comunità limitrofe poterono allora finalmente tornare a raccogliere legna da ardere, funghi e nocciole, e in autunno potevano portare i loro maiali a mangiare le ghiande. Unica regola fondamentale: era vietato abbattere gli alberi. Da quel momento in poi Arnold sarebbe stato venerato nei 15 villaggi circostanti la foresta come un santo.

Da questo momento in poi la foresta diventò un bene comune. Tale sistema era diffuso in tutta Europa: i villaggi erano delimitati da ampie pianure, foreste e laghi. Non appartenevano a nessuno, non erano privati. Erano sottoposti al controllo e alla cura delle comunità locali, che si incontravano regolarmente per determinare quanti animali ognuno potesse portare al pascolo, quanti pesci potessero essere pescati dai laghi, dove si potessero abbattere gli alberi per costruire. Per secoli gli uomini hanno avuto un rapporto di armonia e scambio con la Natura. Con il passaggio a un’economia capitalista queste zone sono state recintate, privatizzate, e la popolazione del luogo è stata costretta a lavorare a pagamento. Gli uomini rischiano più volentieri la loro vita quando lavorano per denaro, e questa è la peggior sorte che possa toccare a una persona.

Trascorsero i secoli e gli uomini vissero in buoni rapporti con la foresta. Dal XVI secolo gli arbusti sono stati inseriti in un registro, e una gestione ecosostenibile della foresta è stata registrata per iscritto.

Le comunità limitrofe si sono radunate a date fisse e si sono accordate per l’uso del legno. Nel XVIII secolo la foresta è stata suddivisa in lotti e assegnata alle comunità circostanti, ognuna delle quali era responsabile della sua parte. Questa sarebbe dovuta essere la decisione che avrebbe dovuto influenzare ancora a lungo la foresta. Quando, negli anni ’70, si attuò la riforma del territorio, poiché le comunità non sapevano bene quale pezzo della foresta appartenesse loro, la RWE, allora Rheinbraun, riuscì a farsi vendere la foresta distribuendo bustarelle.

Nello stesso anno, 1978, iniziarono i primi disboscamenti e ora, 40 anni più tardi, sopravvive ancora solo un decimo della superficie originaria.

Cosa ci aspetta in futuro? Questo non si sa, ma è chiaro che la Resistenza si è risvegliata e che prima o poi il Capitalismo avrà una fine, prima di quanto molti penserebbero …

 

N.d.T.: la foresta di Hambach è occupata da diversi anni da attivist*, che hanno costruito case sugli alberi per impedirne l’abbattimento. Nell’autunno del 2018 si sono verificate massicce operazioni di sgombero, che tuttavia non hanno piegato la resistenza. Al contrario, la Foresta di Hambach, minacciata dall’estensione della miniera di carbone di lignite di proprietà di RWE, è divenuta il simbolo nazionale delle lotte ecologiste. Sul luogo, nell’ottobre 2018, si sono recate decine di migliaia di persone per protestare contro l’estrazione del carbone, la distruzione della foresta e dei villaggi circostanti. La lotta continua. Per restare aggiornato, puoi seguire la versione italiana del blog, curata dalle Malelingue: https://new.hambacherforst.org/blog/

Rischio di collasso a Romainville (Parigi)

di Sylvain Piron

Nota di traduzione: Questo testo è stato pubblicato da Lundimatin n. 161, il 16 ottobre 2018. Tratta della foresta di Romainville, nella periferia di Parigi, dove la regione vuole tagliare la foresta per creare un “centro ricreativo”, un progetto legato, secondo gli opponenti, ad un piano di riqualificazione urbana, o piuttosto “gentrificazione”, per chi si oppone. Questo testo è stato scritto prima che il cantiere cominciasse, in data 8 ottobre 2018. Fino ad oggi, i lavori di diboscamento continuano. Continua anche il confronto tra opponenti e regione.

Due chilometri a est di Parigi, sotto il quartier popolare di Gagarin, c’è una foresta recintata di 27 ettari, chiusa al pubblico. Questa lacuna nel tessuto della metropoli è stata accuratamente suturata in modo che l’esterno resti qui rinchiuso su se stesso. Il paradosso di questa foresta chiusa indica una situazione che merita attenzione. Grandi pannelli dietro le recinzioni avvertono di un “rischio di collasso”. La terra è infatti minata dalle gallerie di vecchie cave di gesso. In alcuni punti il terreno è collassato formando imbuti di parecchi metri di profondità (i cosiddetti “fontis”). Su questa terra, una foresta si è formata dalla fine dell’estrazione cinquant’anni fa. È composta principalmente da sicomori, robinia e frassini, a cui si aggiungono liane, clematidi o luppoli e tutta la vegetazione del sottobosco. Le radici degli alberi consolidano il terreno, che a volte forma solo uno strato sottile sopra le gallerie. Sono fondamentalmente le radici che gli impediscono di crollare. Ogni volta che entriamo in questa foresta nascosta, il cambiamento che sentiamo è di natura abbastanza particolare. Il passaggio dall’altra parte dello specchio fa istantaneamente uscire fuori dal tempo comune. Questa giungla che si è impadronita di una cava abbandonata è letteralmente una metafora della proliferazione della vita nelle rovine del capitalismo industriale.

L’intonaco di Parigi è rinomato per l’elevato contenuto di solfato di calcio del gesso da cui proviene. I massi che affiorano sulle colline a nord della Senna sono note fin dall’antichità. Furono sfruttati per tutto il Medioevo. Resti di una miniera del 1100 sono conservati a Chelles. Dopo il grande incendio di Londra (1666), sotto l’effetto dell’obbligo di intonacare le facciate delle case parigine, lo sfruttamento si è intensificato, a Montmartre, Ménilmontant e alle Buttes Chaumont, poi tutto intorno alla collina, da Charonne a Noisy-le-Sec. Su una mappa disegnata nel 1740, ci sono già cave a Romainville, dove il gesso estratto all’aperto veniva cotto sul posto. La produzione industriale iniziò nel 1848. Una volta smantellato il castello che dominava la collina, le cave hanno sventrato metodicamente il parco che giaceva ai suoi piedi, tagliando la collina da cima a fondo (la “faccia di lavoro”), poi perforando gallerie nelle masse di gesso. Nel ventesimo secolo, il sito fu gestito dall’azienda Mussat-et-Binot, che fu in seguito assorbita dal consorzio Lafarge. Un’altra miniera di Romainville era nelle mani di Poliet-et-Chausson, un impero industriale di cui rimane solo l’iniziale nel nome dei negozi di materiali di costruzione “Point P”. La storia di questa collina riassume abbastanza bene la successione di alcuni rovesci storici. La riconquista vegetale appare ora come una figura del futuro che raggiunge il lontano passato della collina.

La foresta non è completamente chiusa, comunque. Le recinzioni sono state da tempo abbastanza permeabili ai passaggi. I grandi cani partati a spasso quotidianamente dai padroni hanno tracciato sentieri nel bosco. Scopriamo resti di capanne o accampamenti, messaggi lasciati dagli amanti sulla corteccia degli alberi. All’incrocio dei due percorsi principali, un amichevole colutea mostra i suoi frutti a forma di lanterna, come un segnale nel mezzo del bosco. Nonostante la presenza di specie rare nell’Île-de-France, come lo sparviero eurasiatico e la poiana comune, o la sua funzione di collegamento tra la periferia e i parchi parigini per molte specie di uccelli, questo territorio dimenticato non è mai stato iscritto negli inventari delle aree protette, dove merita certamente di apparire. Questa dimenticanza volontaria è il corollario di un’altra forma di interesse sostenuto che ne fa da tempo la preda di un fantasma di sviluppo del territorio.

Il concetto di “centro ricreativo all’aperto” (base de plein air et de loisir) risale agli anni ’60: si trattava di proporre, vicino a Parigi, un sostituto per le vacanze al mare alle classi popolari, con attività nautiche in laghi circondati da prati, di solito situati nella grande corona parigina. La Corniche des Forts (nome della collina situata tra i forti di Noisy-le-Sec e Romainville) fu scelta nel 1993 dallo Stato e dal consiglio regionale dell’Île-de-France per ricevere la dodicesimo sede della regione, la più vicino a Parigi, l’unica nel dipartimento di Seine-Saint-Denis, su un terreno scosceso nel mezzo di un’area densamente popolata.

Il progetto selezionato nel 2002 prevedeva il quasi completo diboscamento di un terreno che sarebbero stato completamente ristrutturato e dotato di impianti dubbiosi (tra cui un centro commerciale). Revisionato più volte al ribasso, a causa delle difficoltà tecniche e delle critiche di certi eletti e di associazioni ambientaliste, ora copre solo un terzo dell’aerea prevista. Va notato, tuttavia, che i sindaci di Romainville e dei comuni limitrofi stanno ancora conducendo una campagna per una bonifica integrale dei 27 ettari. La riduzione delle dimensioni delle aree da bonificare non ha portato ad alcuna revisione sostanziale del progetto, che è ancora progettato e pilotato dal punto di vista dello “sport e ricreazione”. Sebbene le circostanze climatiche siano cambiate significativamente, la direzione del progetto non considera prioritario il ruolo di una foresta urbana come fonte di freschezza e rifugio della biodiversità durante un periodo di rapido riscaldamento e rapida scomparsa delle specie. Nonostante le differenze di scala, si scopre così una certa analogia con Notre-Dame-des-Landes. Un progetto pianificato un quarto di secolo fa, il cui orientamento è diventato obsoleto nel frattempo, continua ad essere imposto senza alcuna consultazione, o qualsiasi studio o dibattito ecologico indipendente sui vari modi possibili di garantire la sicurezza del sito. In una riunione di emergenza alla vigilia dell’inizio dei lavori, il vicepresidente si è rammaricato che non sia stato organizzato alcun incontro informativo con i residenti locali sul progetto.

La mancanza di riflessione sugli usi è indubbiamente la caratteristica più grottesca di questo progetto, dedicato per definizione ad offrire attività “divertenti”. Dato che siamo nella foresta, è necessario un po’ di arrampicata sugli alberi. Ma gli alberi sono troppo giovani per appenderci qualsiasi cosa. I bambini avranno il diritto di sospendersi ad alberi artificiali, che potrebbero anche essere piantati altrove. Si scopre che la foresta confina con un parco dipartimentale (“La Sapinière”), in cui un parco giochi per bambini è stato smantellato pochi anni fa, per mancanza di manutenzione. Un campo è quindi pronto ad accogliere questi divertimenti che la Regione vuole impiantare nella foresta spendendo l’ira di Dio.

Fino alla scorsa settimana, il clou del progetto era uno spazio designato come “solarium”. Piegati sotto l’accumulo di sarcasmo che cadeva su questo nome maldestro in tempi di ondata di caldo, gli sviluppatori lo hanno ribattezzato in “grande prato”, la cui gestione sarà ovviamente “sostenibile”. La sua creazione sarebbe giustificata come un rifugio per insetti. Ma l’assurdità rimane invariata. L’obiettivo qui è quello di riempire le gallerie crollate con una malta di sabbia e cemento, poi coprirle con un tessuto plastico (geogriglia) che impermeabilizzerà il terreno, sul quale verrà posato un sottile strato di terra. In altre parole, gli insetti sfrecceranno tra i papaveri su una vera piastra di cottura, che diffonderà il calore invece di assorbirlo e che non lascerà l’acqua penetrare nel terreno. Questo focus sul “tempo libero” è accompagnato da una miopia totale per quanto riguarda il patrimonio industriale sotterrato dall’edera e dalle liane della foresta. Esiste ancora un tunnel di mattoni che serviva per entrare nelle cave, case di operai costruite intorno al 1870, quelle di ingegneri e capisquadra, e quattro forni a gesso individuati dall’archeologo Ivan Lafarge nella sua tesi di laurea.

Lo zelo mostrato dal comune di Romainville in questo dossier è facilmente comprensibile. Questa è la contropartita dell’attuale intenso popolamento, che accompagna l’estensione della linea di metro 11 e accelera la gentrificazione di una antica città comunista. Dimenticando il suo slogan obsoleto (“Quando una città è anche un villaggio”), il comune organizza il massacro del vecchio centro e la liquidazione del patrimonio. Di fronte alla chiesa, l’Auberge du Bois perdu (l’Albergo del Bosco perduto) era un residuo del tempo in cui il tram portava la domenica gli operai di Belleville a fare baldoria. Rasato nell’estate del 2017, lascerà il posto a una residenza di lusso il cui nome evoca gli ex proprietari del castello (i Ségur). Per quanto riguarda quest’ultimo, anche l’ultimo padiglione rimasto, abbandonato e poi bruciato, è stato distrutto l’anno scorso. Il mercato coperto non ha resistito meglio. Per rendere il luogo “città”, abbiamo visto sorgere accanto, su sette piani, un mosaico di architetture borghesi che evoca un incubo di Disneyland. Gli opuscoli delle varie “Ville di lusso” in costruzione annunciano un parco nelle vicinanze. La sua rapida apertura deve far parte dell’accordo tra la sindaca Corinne Valls e i promotori. Più in su, presso la foresta, vicino al principale “fontis” (frana), Nexity costruisce una Villa Natura tra gli alberi, che non può essere completata senza distruggere il bordo del bosco. Il riempimento su cui dovrebbe riposare il solarium ha indubbiamente per vera funzione di consolidare questa costruzione instabile.

La posizione di Valérie Pécresse, la presidente della regione, non è certo meno sordida. Permettendo la distruzione della foresta, mostra che il suo piano per la biodiversità è una cortina fumosa. Tutto ciò che gli interessa è essere in grado di inaugurare un nuovo spazio verde prima delle prossime elezioni, qualunque sia il costo. E questo è il tasto davvero dolente. Il budget stanziato per l’operazione è di 34 milioni di euro, per lo sviluppo di 8 ettari, di cui solo 4 saranno aperti al pubblico. La sproporzione tra le risorse assegnate e i possibili risultati è semplicemente sconcertante.

Per anni diverse associazioni hanno cercato di promuovere un altro modo di concepire la conservazione e l’apertura della foresta, senza necessariamente concordare sulla migliore soluzione. Loro chiedono che finalmente inizino discussioni sincere, fuori dalla minaccia di una distruzione irreversibile degli alberi e del sottosuolo. La moratoria sui lavori è quindi la prima richiesta che facciamo al Prefetto del dipartimento di Seine-Saint-Denis, alla Presidente della Regione (proprietario del terreno) e al Ministero. L’idea non è facile da diffondere. Come giustificare il mantenimento di uno spazio selvaggio alla porta di Parigi? A volte è difficile spiegare ai passanti che si può amare una foresta senza volersela “godere”, che piuttosto si vorrebbe lasciarla alle volpi e agli sparvieri. Che la nostra salute mentale richiede la vicinanza di una vegetazione selvaggia. Gilles Clément è stato entusiasta della sua scoperta del posto. Vede in esso uno dei successi più belli di quello che lui chiama il “Terzo paesaggio”, questi luoghi abbandonati dalle attività umane, dove si costituisce una nuova diversità biologica.

Come prevedevamo, i lavori sono iniziati lo scorso lunedì. Ogni giorno, all’alba, eravamo poche persone sul posto, supportati da pochi rappresentanti eletti, per ostacolare l’inizio del cantiere, l’avanzamento della trincia e dell’escavatore che attaccano il bosco, avanzando dall’entrata del cantiere (localizzato giù, all’angolo della strada del Dr. Vaillant e del camino del Trou Vassou). Lunedì, abbiamo provato a far rispettare il decreto municipale che vieta l’ingresso al sito. Per alcuni minuti, siamo riusciti a convincere la polizia municipale ad evacuare la foresta. Nei giorni seguenti, la polizia nazionale è stata chiamata a sloggiarci. Giriamo, facciamo fotografie, allertiamo. Notiamo i danni, osserviamo invano che le macchine non rispettano le specificazioni “ecologiche” del capitolato del cantiere. Ma dobbiamo essere molto più numerosi per bloccare efficacemente questa distruzione. Appuntamento in loco, questa domenica 14 ottobre, dalle 15h, per chiedere l’immediata cessazione dei lavori.

N.d.T.: Per essere aggiornato sullo sviluppo di questa lotta nel 2019, segui la pagina Facebook “La Foret Resiste”: https://www.facebook.com/laforetresiste/?__tn__=%2Cd%2CP-R&eid=ARDt2slFoLU4gGo6ZJKd4hHBuffDckUlYNaJtPNseGH7s_yxGw8WysFRT2Xgim6OPdlAYBHFPaw0ROMj

Aperto il blog delle Malelingue!

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